Ti trovi in

 AGRICOLTURA E CASCINE nel territorio dell’antica Via Canturina

L’agricoltura collinare nel Canturino convive con l’estensione di boschi, brughiere (pino silvestre, betulla, rovere, castagno, erica o brugo, quest’ultimo tagliato ogni quattro  anni ed usato per l’ingrasso dei terreni).
In tale zona i boschi di proprietà privata resistettero di più all’uso indiscriminato ed al disboscamento: i contratti agrari ne regolamentavano sia lo sfruttamento sia la manutenzione fino alla Prima Guerra Mondiale. A partire dalla II metà del XX secolo, i boschi non appartengono più al nostro modo di vivere e alla nostra cultura, divenuta via via più cittadina, e non sono più rispettati come fonti di vita, di benessere e di equilibrio ambientale.
Nel XVIII secolo si era dato impulso nel Canturino alla sistemazione a terrazze dei pendii ripidi erosi dalle acque meteoriche, sistemazione già presente nel territorio fin dalla dominazione spagnola, soprattutto a nord sui pendii di Santa Naga (località Fecchio) sia a sud-ovest sulle pendici che degradavano verso la roggia di S. Antonio o Mairola (Mairolo o Mariola).
A partire dall’‘800 si diffuse nelle zone collinari la rotazione delle culture (frumento I anno, segale od orzo II anno, granoturco III anno, lino, canapa o leguminose IV anno). A Cantù si aggiungevano la vite prima e il gelso poi: la zona più fertile era considerata il pianoro che dal colle di Galliano si espande verso Vighizzolo.
La coltivazione del gelso era legata all’allevamento del baco da seta, perciò esso veniva piantato anche nel mezzo dei campi coltivati a cereali. Si ha notizia che nell’‘800 a Cantù il numero dei gelsi si aggirava intorno a 5000 portando una considerevole ricchezza ai proprietari terrieri che rifornivano le filande dei preziosi bozzoli. Il vantaggio non coinvolgeva i contadini che vedevano ridotta la superficie coltivabile, che avevano un supplemento di lavoro, mentre le loro case durante la stagione dell’allevamento dei bachi dovevano essere a disposizione di tale pratica.
Già a partire dalla fine del XIX secolo si ha una riduzione della coltivazione del gelso e dell’allevamento del baco da seta a causa di una malattia del baco stesso e di una diminuzione della richiesta della seta.
Forse per questo in molte cascine canturine si trovano non solo affreschi devozionali dedicati ai santi tradizionalmente protettore del bestiame, come Sant’Antonio abate, ma anche immagini di san Giobbe, considerato il protettore dei bachi da seta.
Alle cascine erano spesso annessi anche piccoli oratori e nei campi si trovavano edicole, santelle o altri segni di culto. Gli oratori di preghiera, le edicole votive, le semplici immagini sacre affrescate sulle pareti di una cascina, le croci campitali in legno o metallo disposte all’ estremità dei campi, contribuivano alla sacralizzazione del paesaggio e si collegavano ai rituali agricoli, come le “rogazioni”, vale a dire la benedizione primaverile dei campi per propiziarne la fertilità. Inoltre la festività del patrono, ad es. Sant’Apollonia, o di altri santi, ad es. Sant’Antonio, il pellegrinaggio al santuario mariano, ad es. il Santuario della Madonna dei Miracoli, costituivano un’occasione per uscire dalla quotidianità ristretta del mondo rurale e per venire a contatto con un mondo più vario.

 

^ Torna in alto

^ Torna in alto